Point Of View

P.O.V. rock tales: la piccola Seattle chiamata L’Aquila

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L’11 dicembre 2020 il mio amico Marcello Prosperococco, chitarrista di Zelig, Vega’s, Hide Out e tante altre rock-band, ha fondato “La piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA”, un gruppo Facebook teso a raccontare la scena musicale aquilana dagli anni ’80 fino ai giorni nostri.

L’obiettivo è raccogliere notizie, informazioni, fotografie, materiale audio e video, cioè testimonianze sul rock aquilano degli ultimi 40 anni, per farne un libro vero e proprio, in carta e inchiostro.

L’iniziativa ha riscosso un successo immediato ed è stata accolta con entusiasmo dai musicisti e dagli appassionati.

Poi, come spesso accade in questi casi, l’interesse è andato via via scemando, un po’ perché il Covid ha ostacolato fortemente alcune iniziative collaterali, un po’ perché negli anni ’80-’90 non era semplice scattare foto e girare video come lo è oggi, ma soprattutto perché nonostante siano trascorsi 40 anni persiste ancora un certo provincialismo che impedisce ai musicisti aquilani (così come a quelli abruzzesi e forse anche a quelli italiani) di riconoscersi come parte integrante di un progetto comune.

Ciò nonostante, “La piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA” è e resta un’iniziativa estremamente interessante e valida.

Nel suo post del 16 dicembre 2020, Ciccio Attanasio, bassista di Zelig, Intrigo e tanti altri bei progetti musicali, ha svolto una «piccola analisi pseudo-sociologica … di cui discettavamo un par di giorni fa con Massimo Duronio. Tutti questi gruppi alimentavano un indotto costituito da negozi di strumenti musicali [e] negozi di dischi. Il padre [di] Denni Zuccon aprì “American Graffiti” e confortò le velleità estetiche di novelli metallari. Il bar di Antonio su Via delle Grazie … fu il primo a dare la possibilità a noi metallarucci di guardare video metal. Ovviamente tutti i locali che ospitavano queste band, accogliendo centinaia di clienti ogni settimana, campavano benino e pagavano benino. Infine voglio ricordare a qualche thrasher ancora vivo che con 2.000 lire i sarti zoppi di Via Cimino … ci stringevano i jeans al limite dell’impotentia coeundi».

Il succo è pressapoco questo: la musica, non solo quella dei big, ma anche quella underground o amatoriale che dir si voglia, genera un indotto molto ramificato, per cui sostenerla implica sostenere l’economia tutta.

Qualche giorno prima, esattamente il 13 dicembre 2020, avevo osservato che «però, diciamolo … tutto questo cameratismo non c’era. Anzi, c’era un’insana competizione tra prime donne. Credo sia stata proprio questa la causa del declino, sul nascere, di ogni possibile “scuola aquilana”. Ovviamente, fatte le dovute eccezioni. Paradossalmente, ancora oggi MusicAq magazine … riscuote enorme successo ovunque ma non a L’Aquila. Paradossalmente, l’appello lanciato di recente da Michele Babbo alle Istituzioni aquilane affinché si potesse organizzare un evento live streaming e Covid-free da trasmettere dall’Auditorium del Parco, è stato raccolto da musicisti di tutta la Regione, ma da ben pochi musicisti aquilani. Trovo fantastica l’idea che ha avuto Marcello nel fondare questo gruppo, ma ne vorrei cogliere l’aspetto propositivo, non soltanto quello romantico o nostalgico. Mi piacerebbe, cioè, che anche nella musica L’Aquila non si adagiasse sulle presunte glorie del passato, ma provasse a farsi strada nel futuro».

Sono esattamente questi i ragionamenti che mi hanno spinto oggi a non raccontare la storia di un musicista o di un gruppo musicale, ma quella di un gruppo Facebook popolato da musicisti e gruppi musicali che sono riusciti a volare da zero a mille in un batter d’ali, ma che forse non sono ancora riusciti a trovare la quadra intorno a una causa comune.

Nella “piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA” ho ritrovato molte delle band con le quali ho spesso condiviso il palcoscenico insieme ai miei Claymore, prima, e ai miei Asilo Republik, poi.

Sono felice di conoscere le tante formazioni musicali che sono nate nell’arco di questi ultimi 40 anni, molte delle quali sono ancora in attività e mantegnono viva l’inequivocabile vocazione musicale della mia città.

Cosa è, dunque, “La piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA”?

Lo spiega Marcello nel suo post dell’11 dicembre 2020.

Negli anni ’90, a L’Aquila, si sviluppò in maniera spontanea un fermento musicale notevole, ma inusuale fino ad allora per la nostra splendida città. Non ho dubbi che la stessa cosa accadde anche in altre città italiane e del mondo, ma ovviamente i miei ricordi, avendoli vissuti in prima persona, sono legati alla città nella quale sono nato e cresciuto.
Il nome del gruppo mi è venuto in mente perché le analogie con la più famosa città americana, con le dovute proporzioni, a mio avviso furono molte … È certo che un confronto diretto con Seattle, risulterebbe impietoso.
L’origine di questo movimento musicale fu dovuto sicuramente e principalmente alla spinta mediatica che il “Grunge” ebbe in quegli anni. C’era però, come a Seattle, la voglia di esprimersi, la voglia di dire qualcosa, la voglia di suonare in ogni angolo della città. L’idea mi è venuta in mente qualche giorno fa, dopo aver pubblicato una foto di una possibile reunion (che purtroppo non andò in porto) della mia prima band, quella con la quale sono salito per la prima volta su un palco: gli Zelig. Come dicevo, ce n’erano tante di band e, secondo me, ognuna di loro ha dato un contributo fondamentale alla crescita culturale della città. Le cito rigorosamente in ordine alfabetico: A Real Rain (il mio esordio come chitarrista in una band), Coffee Shower, Dabadub, Dline, Disforia, Distilleria Clandestina, Doctor Khumalo, Exede, Garble, Golem, Intrigo, Ividema, Joy Lips And The Velvet Negroes, Khany Scjoti, Latebra, Lavori In Corso, Le Naphta Narcisse, Lungo Cammino, Malìa, Margó, Maxiata, Morgana, Muffa Rialzo, Muttley, Overload, Powerage, Project Orange, Rio Save, Senza Precedenti, Sesto Senso, Souleloquy, State Of Love And Trust, Sturm Und Drang, Uranius, Vega’s, Zelig (lo so, ci sono alcune band che nel corso degli anni hanno cambiato nome). Mi scuso in anticipo con quelle band che non sono state citate, ma in questo momento, e cioè 30 anni dopo, è davvero difficile ricordarle tutte. Tra queste, ce ne sono molte che provenivano dagli anni ’80, altre che sono nate negli anni ’90 o sul finire degli anni ’90, se non nei primi anni 2000. Sono tante, ma non sono tutte (qui dovreste subentrare voi ed aiutarmi a ricordare le altre), e sicuramente non ci accomunava il genere musicale, ma la voglia di suonare, di esprimerci, di condividere il palco, quello sì. Ci furono anche tanti club, piccoli locali che facevano musica dal vivo. Ne cito solo alcuni (perché non li ricordo tutti): l’Arabesque, il Blue Funk, il The Mix, lo Sweet Home, il No End. Per non parlare dei tanti scantinati adibiti a sala prove, sparsi per tutta la città (come non ricordare lo storico Naftabenza?). Lo scopo della creazione di questo gruppo non vuole essere solo una sorta di amarcord nostalgico, ma soprattutto un contenitore di quei ricordi, di quelle emozioni, di quel periodo, da rivivere insieme. Un contenitore che spero possa essere implementato con il mio e il vostro contributo attraverso il materiale che spero possediate ancora: locandine, flyers, foto, tracce audio, video, demo, cd, vinili. Credo che il gruppo debba essere pubblico e quindi aperto alla testimonianza anche di chi quelle band le seguiva: amici, parenti, fidanzate, ex fidanzate, cioè tutte quelle persone che sicuramente filmavano, registravano i live, i demo.

(Marcello Prosperococco)

Certo, la linea di demarcazione tra un «contenitore di … ricordi» e un «amarcord nostalgico» è davvero impercettibile, ma è lo stesso Marcello Prosperococco a chiarire nel suo post del 17 dicembre 2020 che «praticamente … è un super gruppo, una super band, una super jam session, in cui ognuno di noi può mettere la propria nota, il proprio arrangiamento, il proprio testo».

Qualunque cosa sia nelle intenzioni del suo fondatore, per me “La piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA” è la testimonianza di una generazione di adolescenti che 40 anni fa, senza forse averne la piena consapevolezza, hanno scatenato una vera e propria rivoluzione culturale nel capoluogo abruzzese, spalancando porte e finestre a un linguaggio musicale – quello del rock in tutte le sue declinazioni – decisamente «inusuale … per la nostra splendida città».

L’eco di quella rivoluzione, alla quale sono orgoglioso di avere anche io dato il mio piccolo contribuito, si è propagata fino ai giorni nostri, dando vita a tante nuove e interessantissime formazioni musicali.

Al contempo, però, nella parabola di questo meraviglioso gruppo Facebook colgo anche un monito che è rivolto soprattutto alle nuove generazioni: gli individualismi, i settarismi, non portano da nessuna parte; occorre uno sforzo collettivo, costante, aggregante, per raggiungere obiettivi ambiziosi e durevoli.

Tra tutte le meravigliose immagini che sono state postate dagli iscritti, questa è la mia preferita.

Credo di non apparire in questa foto (potrei essere quello che spunta da sinistra, con le braccia conserte, anche se quello non sembra essere il mio naso), ma sono sicuro di aver partecipato a questa kermesse di tanti anni fa perché ci sono ben tre Claymore D.O.C.: Enzo Manieri (il primo a sinistra, di profilo, accanto al presunto me); Stefano Valeri (il ricciolo al centro della foto, con la maglia a righe, a destra di quello che applaude); Ido Cianca (il penultimo a destra nella foto, tra quelli in primo piano, con la sigaretta nella mano sinistra).

Questa immagine mi piace moltissimo, non tanto per il fatto che ci sono i miei Claymore, quanto per il fatto che ci sono un sacco di band con le quali abbiamo condiviso il palcoscenico, cioè il pubblico: a giudicare dalle espressioni, deve essere stato un concerto stupendo.

Ecco, per me questa istantanea rappresenta il vero spirito della “piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA” perché spiega molto meglio di tutte le parole qual è la differenza tra un amarcord nostaglico (di cui faremmo volentieri a meno) e un contenitore di ricordi (dai quali non si può prescindere se si vuole guardare al futuro).

Voglio ringraziare Marcello Prosperococco per la sua bellissima iniziativa, tutti i compagni di viaggio che mi hanno permesso di suonare la mia musica, tutti gli straordinari musicisti che hanno dato vita a una scena rock aquilana che altrimenti non sarebbe mai esistita, ma soprattutto alle tante ragazze e agli altrettanti ragazzi che hanno assistito e partecipato ai nostri stupendi concerti.

Se volete conoscere tutti i dettagli e molto di più, seguite su Facebook “La piccola SEATTLE chiamata L’AQUILA”, ne vale la pena.

Gli individualismi, i settarismi, non portano da nessuna parte.
Occorre uno sforzo collettivo, costante, aggregante, per raggiungere obiettivi ambiziosi e durevoli.