P.O.V. rock tales: da Tippy il coniglietto hippy a Worldwide Open Music

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Il primo disco vero che ho ascoltato è “Tippy Il Coniglietto Hippy”: ho ancora il 45 giri, sul lato B c’è “Cin Ciu E”, ma non mi è mai piaciuta tanto.

I fratelli minori nati negli anni Settanta avevano il dovere morale e materiale di riciclare gli scarti del fratello maggiore: ecco come il vinile con sopra incisa la canzone vincitrice della decima edizione dello Zecchino d’oro, cantata da Paolo Lanzini con il testo di Sauro Stelletti e la musica di Giordano Martelli, è arrivato a me, settembrino del 1972, per accompagnare le mie poppate fino a quando non sono riuscito a disfarmi del biberon e pronunciare la prima parolina: «Basta!».

Da quel momento, i miei genitori – vissuti lungamente in Lorena nel dipartimento della Meurthe-et-Moselle – mi hanno svezzato a forza di Charles Aznavour, Mireille Mathieu, Françoise Hardy, Gérard Lenorman, Édith Piaf, Johnny Hallyday, Dalida e via discorrendo, finché non ho imparato a pronunciare perfettamente la cediglia dell’espressione «Ça suffit!».

Nel frattempo s’era fatto il 1978 e io desideravo imparare a suonare la chitarra, quindi mi sono tuffato con una Recanati per principianti nell’oceano dei metodi di Andrés Segovia, Fernando Sor, Mauro Giuliani, Ferdinando Carulli, Mario Gangi, eccetera.

Quando sono arrivati gli anni Ottanta, con due decenni di ritardo rispetto al resto del mondo, ma uno soltanto rispetto al nord Italia, anche i sassi abruzzesi hanno conosciuto il rock.

Durante l’adolescenza ho ascoltato di tutto, dagli Eagles ai Suicidal Tendencies, passando per i Requiem, ma senza disdegnare U2, Peter Gabriel, Clannad e tantissimi altri.

Il ritardo rockuzzese (rock-abruzzese) aveva però contribuito a creare un ecosistema autoctono molto peculiare in cui individui appartenenti alla stessa generazione non si riconoscevano nella stessa specie.

Tra punker e hardrockettari di seconda fioritura circolavano paninari e metallari di primo pelo: le differenze erano nette e non riguardavano soltanto la musica, anzi, erano soprattutto una questione di abbigliamento e atteggiamento; a L’Aquila city, poi, implicavano il diritto-dovere di presidiare un territorio, cioè di piantonare giorno e notte una precisa colonna dei portici.

A chi si era votato al metal, per esempio, una legge non scritta imponeva il divieto assoluto di prendere in considerazione qualsiasi altro genere musicale, pena la scomunica e la conseguente necessità di cambiare look e colonna.

Devo confessare che anche se ho vissuto queste dinamiche molto da vicino non mi sono mai lasciato assorbire interamente dal neoclassicismo semplificato di un pilastro anni ‘30: se questo non mi ha giovato molto allora, mi ha giovato moltissimo col passare del tempo.

Per avere conseguito con ottimi voti la licenza media, nel 1984 ho ottenuto in premio la mia prima chitarra elettrica, una magnifica Kramer Aerostar ZX20.

Come ha spiegato benissimo il mio amico Angelo Cipollone qualche tempo fa nel suo Elogio ai Maestri su WOM, la scelta dell’insegnante di musica è fondamentale.

Sotto questo aspetto sono stato molto selettivo, ma anche molto fortunato: ho avuto pochissimi insegnanti in carne e ossa, nessuno di loro famoso o con stuoli di allievi a corredo, ma tutti veri e propri artigiani della musica.

I fratelli Manganaro mi hanno insegnato a leggere la musica, a solfeggiare e a impostare correttamente le dita sulla chitarra classica, Enrico Scoccia mi ha insegnato a usare (dico usare, non semplicemente suonare) la chitarra elettrica, pochissimi altri mi hanno spronato a osare.

Seconda liceo (classico), magrissimo, jeans alla Luky Luke, scarpette da ginnastica, capello arruffato, occhiali sottili rettangolari, espressione corrucciata, walkman, cuffiette e, soprattutto, chitarra in spalla, una bellissima Stratocaster color panna, Enrico Scoccia era il chitarrista degli Enigma, una band piuttosto popolare nella city di quella metà degli anni Ottanta.

Il quartetto formato da Stefano D’Eramo alla batteria, Gianluca Racano al basso, Enrico Scoccia e Fausto Chiarizia alle chitarre, proponeva un repertorio di inediti punkrockeggianti di stampo inequivocabilmente anglosassone, nei quali la chitarra di Enrico, non me ne vogliano tutti gli altri, faceva davvero la differenza.

Tra il 1985 e il 1986, le lezioni avvenivano due o tre volte a settimana, durante l’ora di pranzo tra l’uscita di scuola e l’inizio delle prove della band, in uno scantinato buio e maleodorante che sarebbe diventato ambitissimo dalle band aquilane dei successivi anni ‘90, il celebre NaftaBenza.

Da quanto ne so, terminato il liceo Enrico si è trasferito a Londra e nel 2001 ha fondato la Latino Academy Pictures insieme al regista Luigi Barbieri e al produttore Massimo Apicella, co-producendo cortometraggi e film pluripremiati, nonché componendo la colonna sonora per ciascuno di essi.

Di lui non ho più notizie da moltissimi anni ormai, ma so che il corto Gli Occhi Di Cristo del 2007, un thriller che scruta la solitudine di un prete alle prese con il dolore per la perdita della persona più cara, ha riscosso enorme successo all’Italian Film Festival in Scotland, al São Paulo International Short Film Festival e un po’ dappertutto nel mondo.

Salve queste rarissime eccezioni, quel poco che so di musica l’ho imparato quasi esclusivamente da autodidatta, studiando su pile di libri, esercitandomi costantemente e rubando con gli occhi il mestiere a chi sapeva farlo meglio di me.

Pur orbitando in linea di massima intorno alla CIT (Compagnia Italiana del Turismo) e al Rex (una delle più belle sale cinematografiche aquilane dell’epoca), non ho mai aderito a nessun clan, per cui avevo un aspetto abbastanza ordinario, come quello di qualsiasi altro teenager, e non puntellavo nessun pilone.

Questo, come dicevo, non mi ha giovato molto allora perché ai piedi di ogni colonna fioriva una band, ma chi non era del clan aveva un gran daffare per procurarsi compagni di squadra; mi ha giovato moltissimo col passare del tempo perché quelli che mi hanno accompagnato almeno in una parte del tragitto sono spiriti liberi che hanno creduto in me e mi hanno permesso di avventurarmi in molti territori della musica.

Sono certo di dimenticarne tantissimi, ma non posso non menzionare Enzo Manieri, Alessandro Orzieri, Denni Zuccon, Gianluca Parisse, Roberto Simongini, Fabrizio Tiberi, Ido Cianca, Gianluca D’Angelo, Ciccio Attanasio, Stefano Valeri, Mario Mast, Salvatore Diodato e tutti gli altri.

Ho imparato qualcosa da ognuno di loro, e per questo gliene sarò per sempre grato, così come per sempre sarò grato a tantissimi altri artisti straordinari che mi hanno avuto loro malgrado come allievo discontinuo in qualche seminario, all’Università della Musica di Bologna, a tutti i pubblicisti di Chitarre e Guitar Club di cui ancora oggi conservo spartiti e lezioni, a Pat Metheny per il suo libro “Guitar Etudes” che ho divorato per anni, a Gae Manfredini per i suoi libri “La chitarra elettrica rock blues” e “Fraseggio ed improvvisazione nella chitarra rock”, a Shinichi Suzuki per i dieci volumi del suo metodo per violino con i quali mi sto alacremente confrontando, ma sopratutto a Gianfranco Continenza, non soltanto per il suo libro “Il chitarrista jazz/fusion e l’improvvisazione modale creativa” (autografato!) che è una finestra spalancata sulla creatività, ma anche e soprattutto per la fiducia e l’incoraggiamento a proseguire nello studio della musica e nelle attività di Worldwide Open Music.

Ho raccontato un po’ della mia storia perché Angelo Cipollone mi ha esortato a farlo, perciò, se vi ho annoiato, prendetevela con lui!

(Massimo Duronio)

Là nella quiete della conigliera sta accadendo un fatto molto strano
c’è qualcheduno che alla sua maniera vuole seguire la moda di oggidì.
Il coniglietto Tippy è diventato hippy
vorrebbe solo fiori a pranzo e a colazion
non sogna che giardini di rose e ciclamini
e l’erba tenerella rifiuta di mangiar.
Ai fratelli coniglietti che divorano l’erbetta
dice siete dei matusa non vi so proprio scusar.
Il coniglietto Tippy è diventato hippy
e balla arcicontento pum pitipum pitipum.
Ma quattro giorni dopo con il pancino vuoto
lui balla dalla fame pum pitipum pitipum
non sogna più giardini di rose e ciclamini
ma solo col trifoglio Tippy vorrà mangiar.


“Tippy il coniglietto hippy” (P. Lanzini, S. Selletti, G. Martelli)