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MUSICA ARTE SCIENZA. È tutta colpa delle cover band?

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«L’offerta musicale continua a crescere, mentre le occasioni per affermarsi nella musica diminuiscono: come mai accade?»

Questa domanda sta imperversando nei profili social di molti artisti, anche affermati.

Alcuni attribuiscono la responsabilità alla tecnologia, che avrebbe radicalmente cambiato il modo di ascoltare musica, altri al pubblico, che non si dedicherebbe più di un minuto all’ascolto di un brano, altri ancora se la prendono con le cover band, che occuperebbero i pochi spazi disponibili rosicchiando fette sempre più consistenti di pubblico.

In questo articolo, con il quale inauguriamo la rubrica Musica Arte Scienza, cercheremo di fare luce su questo piccolo grande mistero.

Più offerta e meno occasioni? No, non è vero

L’offerta musicale continua a crescere, non c’è dubbio: aumenta il numero di cantanti, musicisti e band, e aumentano anche le piattaforme online dalle quali è possibile ascoltare e scaricare musica, gratis o a pagamento.

La cultura musicale si sta estendendo a macchia d’olio, il mercato gode di ottima salute e, di conseguenza, le occasioni per affermarsi nella musica non solo non stanno diminuendo, ma stanno aumentando.

Tecnologia controproducente? No, non è vero

Lo sviluppo tecnologico non interessa soltanto i dispositivi con i quali è possibile ascoltare musica, ma anche e soprattutto gli strumenti per comporla, registrarla e diffonderla.

Soltanto venti anni fa, per provare un brano musicale c’era bisogno di una sala prove, per registrarlo c’era bisogno di uno studio di registrazione, per promuoverlo c’era bisogno di consegnare le copie fisiche del nastro, il cosiddetto “demotape”, a parenti, amici e conoscenti, ma soprattutto c’era bisogno di investire somme ingenti.

Il lungo lockdown del 2020, invece, ha dimostrato che proprio grazie alla tecnologia gli artisti possono fare tutte queste cose anche a distanza e a costi nulli o irrisori.

Pubblico volubile? No, non è vero

Tecnicamente, il suono è la sensazione data dalla vibrazione di un corpo in oscillazione, vibrazione che si propaga nell’aria o in un altro mezzo elastico fino a raggiungere l’apparato uditivo dell’orecchio.

La musica è il risultato dell’arte di ideare e produrre una successione di suoni che tendenzialmente risultino piacevoli all’ascolto.

La tecnologia ha ampliato le possibilità di accedere a contenuti musicali: non più dischi che si graffiano, nastri che si attorcigliano e apparecchiature ingombranti, ma formati digitali che possono essere riprodotti su smart-tv, computer, tablet, smartphone, compact-disc e altri congegni elettronici.

Eppure, il modo di ascoltare musica è sempre lo stesso: quali che siano la sorgente emittente e il mezzo di propagazione, la musica resta un insieme organizzato di suoni destinato a raggiungere l’apparato uditivo per generare sensazioni piacevoli.

Dunque, nulla è cambiato nel modo di ascoltare la musica, casomai è cambiato l’approccio all’ascolto, ma questo non è necessariamente un male.

Infatti, quando la tecnologia non c’era, la musica si produceva con la voce o picchiando delle clave contro dei grossi tronchi cavi, e per ascoltarla occorreva recarsi in prossimità di una caverna o di uno spiazzo all’aperto; quando sono stati inventati gli strumenti musicali, si poteva stare tutti in una stanza; quando è stato inventato il grammofono, si poteva ascoltare la musica in casa tutte le volte che si voleva, e senza bisogno dell’orchestra; quando sono state inventate le musicassette, tutti abbiamo iniziato ad ascoltare la musica dall’autoradio, anche in autostrada, oppure dal walkman, anche a passeggio; eccetera, eccetera.

Non solo il pubblico non è per nulla distratto dai nuovi device, ma ha persino orientato lo sviluppo tecnologico verso la realizzazione di apparecchiature che consentono oggi di portare la musica ovunque per ascoltarla in qualsiasi momento.

Il modo di ascoltare musica è sempre lo stesso: quali che siano la sorgente emittente e il mezzo di propagazione, la musica resta un insieme organizzato di suoni destinato a raggiungere l’apparato uditivo per generare sensazioni piacevoli

Cover band cannibalizzanti? No, non è vero

Tutti i musicisti e i cantanti iniziano studiando le cover, cioè la musica composta da altri.

Poi, mentre qualcuno avverte l’urgenza di comporre musica propria, la maggior parte sceglie di continuare a studiare e interpretare esclusivamente la musica altrui.

Quindi, le cover band sono la regola, mentre autori e compositori sono un’eccezione.

Quanto alla presunta concorrenza sleale esercitata dalle cover band a danno di autori e compositori, affermereste che l’Orchestra Filarmonica di Vienna (è una cover band) divora fette di mercato ad autori e compositori?

Evidentemente, no.

Anche le cover band propriamente dette, cioè quelle composte da dilettanti o presunti tali che suonano successi altui nelle birrerie, non sono soltanto un vivaio imprescindibile per la nascita di nuovi professionisti, ma sostengono un mercato che non potrebbe essere mantenuto dai soli professionisti: pensate alla produzione e alla vendita di strumenti musicali, alle scuole di musica, alla vendita di prodotti discografici, spartiti, eccetera.

Ergo, le cover band non ostacolano l’affermazione di autori e compositori, ma la favoriscono diffondendo e promuovendo la loro musica.

È errato affermare che le cover band esercitano una concorrenza sleale a danno di autori e compositori: non solo non ne ostacolano l’affermazione, ma, al contrario, ne diffondono e promuovono la musica.

Come stanno veramente le cose

Abbiamo appena gettato un po’ di luce sul piccolo mistero di cui ci stiamo occupando, ma siamo ancora lontani dall’aver trovato una risposta alla domanda iniziale.

L’offerta e le opportunità aumentano, l’evoluzione tecnologica favorisce la diffusione della cultura musicale, le cover band alimentano un vivaio imprescindibile per l’esistenza stessa di un mercato musicale, ma molti musicisti, anche affermati, vedono dimimuire inesorabilmente le loro prospettive nel mondo della musica.

Evidentemente qualche problema deve esserci.

Andiamo a vedere come stanno veramente le cose.

La logica della produzione e quella della distribuzione

In alcuni Paesi, i cittadini avvertono la necessità di produrre ricchezza per migliorare la propria condizione sociale, quindi creano occasioni, lanciano iniziative, avviano imprese, osano, innovano, eccetera.

In altri Paesi, come per esempio l’Italia, i cittadini si preoccupano principalmente di distribuire la ricchezza, cioè di acquisire diritti, accedere a benefit, lamentarsi a prescindere, eccetera.

Dove prevale la logica della produzione ci si ispira a criteri meritocratici: gli individui si impegnano perché sanno che se lo fanno ne trarranno vantaggio.

Dove prevale la logica della distribuzione ci si ispira invece a criteri clientelari: gli individui non avvertono l’esigenza di impegnarsi perché sanno che non è in quel modo che otterranno vantaggi.

Siccome i musicisti e, più in generale, gli operatori del mondo della musica e dello spettacolo, sono individui come tutti gli altri, si danno da fare per produrre ricchezza, oppure per avere una parte nella distribuzione della ricchezza, secondo le consuetudini del Paese di appartenenza.

Ci sono delle eccezioni?

Ovviamente sì, ma sono eccezioni, appunto.

Dove prevale la logica della distribuzione ci si ispira a criteri clientelari: gli individui non avvertono l’esigenza di impegnarsi perché sanno che non è in quel modo che otterranno vantaggi

The grass is always greener on the other side of the fence

Il titolo di questo paragrafo l’abbiamo scritto nella forma anglosassone, ma il suo equivalente italiano è semplicemente «l’erba del vicino è sempre più verde».

Questo proverbio descrive la condizione di quanti pensano che gli altri abbiano sempre qualcosa in più e in meglio di loro, e denota l’incapacità di valutare criticamente i problemi altrui.

Non stupisce che questa massima sia molto diffusa in Italia, sorprende invece che ne esista una versione in lingua inglese.

Forse gli italiani non sono soli nell’universo dei sostenitori del sistema clientelare e della logica distributiva, ma questa non è un’attenuante.

L’arretratezza tecnologica

Il lungo lockdown del 2020 ha messo a nudo l’arretratezza tecnologica dei Paesi, come per esempio l’Italia, che non sono riusciti a digitalizzare attività e procedure che altrove si svolgono online da svariati anni ormai.

Ovviamente, come abbiamo già precisato, ci sono delle eccezioni, a volte anche pregevoli.

Per esempio, alcuni musicisti sono riusciti a realizzare eccellenti performance collettive a distanza, ma poi non sono riusciti ad andare oltre la pubblicazione di un videoclip sui social, anzi, hanno continuato a considerare la tecnologia come una specie di protesi posticcia, non vedendo l’ora di tornare alle vecchie abitudini, come se l’una escludesse le altre.

L’assenza di empatia

Più ancora che nella scarsa dimestichezza con dispositivi e app, l’arretratezza tecnologica di molti musicisti (ma anche di imprese, autonomi e professionisti) si manifesta nell’incapacità di gestire la comunicazione ed entrare in empatia con il pubblico.

Mentre la maggior parte delle persone usa correntemente la tecnologia per fare acquisti, ascoltare musica, vedere film, controllare le previsioni del tempo, chiacchierare con gli sconosciuti e prendere decisioni, molti artisti (ma anche imprese, autonomi e professionisti) si comportano come dinosauri nel giurassico: usano il sito Internet e i canali social come l’equivalente di una brochure o una locandina cartacea, confondono i “like” con gli ascolti e i cuoricini con le vendite.

Altri, per contrappasso, si ispirano evidentemente alle pubblicità di materassi o di lozioni per capelli, e spammano i profili di amici e follower pur di manifestare la propria molesta presenza al mondo.

In entrambi i casi, il più delle volte il rapporto con il pubblico si concretizza in dialoghi simili a questo:
«Guarda quanto sono bravo, domani suono al pub Tal Dei Tali».
«Wow! Bravissimo!!! Complimenti!!!!!! ❤️».
«👍».

Ecco, questa è assenza di empatia.

Più e prima ancora che nella scarsa dimestichezza con dispositivi e app, l’arretratezza tecnologica di molti musicisti si manifesta nell’incapacità di gestire la comunicazione e di entrare in empatia con il pubblico

Quando le idee sono troppe e confuse

In questo articolo stiamo bistrattando un’intera categoria, quella dei musicisti, ma le stesse identiche considerazioni valgono per tutte le categorie economiche, dagli imprenditori agli autonomi, ai professionisti.

Infatti, anziché concentrarsi sul core business (l’insieme delle attività che servono a realizzare l’attività principale), chi esercita o intende esercitare un’attività o una professione (anche nella musica) realizza quel peculiare modello di business che potremmo definire «’Ndo cojo cojo» (“a casaccio” per i non romani), che è quello in base al quale non importa quale sia il risultato, basta che ce ne sia uno.

La naturale conseguenza è una comunicazione spesso superficiale, frammentaria, inadeguata, infruttifera e inefficiente.

La naturale causa è una gran confusione di idee o, più esattamente, l’assenza di un obiettivo chiaro e definito.

Ecco come autori e compositori, da un lato, e cover band, dall’altro, arrivano a contendersi la stessa nicchia di mercato: una serata in birreria.

La solitudine dei numeri primi

Non vogliamo parlare del celebre romanzo di Paolo Giordano né del film diretto da Saverio Costanzo; ne abbiamo preso in prestito il titolo soltanto perché descrive esattamente l’atteggiamento di quegli individui che confondono il curriculum con la qualità o la celebrità, per cui si sentono “numeri primi” sufficienti a se stessi, isolandosi da tutto il resto del mondo.

Normalmente, i “numeri primi” si limitano a ignorare i post sui social, anche quelli che li riguardano.

Nelle forme patologiche più acute, invece, i “numeri primi” denigrano, disgrediscono, polemizzano e, in definitiva, invidiano altri individui che ricevono apprezzamenti dal pubblico e riscuotono successo.

In particolare, nei “numeri primi” affetti dalla forma spastica si riscontra l’assenza di un curriculum esaltante.

Il caso è chiuso

Siamo dunque arrivati a rispondere alla domanda iniziale: aumentano l’offerta e le opportunità, ma alcuni artisti non riescono (oppure non riescono più) ad affermarsi nel mercato musicale per una concomitanza di cause, alcune esterne (il contesto storico e socio-economico), altre interne (l’incapacità di capire dov’è il mercato e di organizzare adeguatamente la propria attività economica o culturale).

Ci sono delle eccezioni?

Sì, ovviamente, ma sono delle eccezioni, appunto, come quelle che trovate qui, su Worldwide Open Music.

Anche se le cover band, come abbiamo visto, non c’entrano un bel niente, non nascondiamo la nostra predilezione per tutti quei musicisti che avvertono l’urgenza di comporre musica propria, di creare, osare e innovare.

Non nascondiamo la nostra assoluta preferenza per tutti quei musicisti che avvertono l’urgenza di comporre musica propria, di creare, osare e innovare