Point Of View

P.O.V. jazz tales: Paolo Giordano

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Ho incontrato Paolo Giordano per la prima volta alla fine degli anni Ottanta.

In TV imperversava il programma musicale “DOC”, mitologica emissione televisiva di Renzo Arbore, presentato da Gegè Telesforo.

Se non ricordo male, nel 1987 la trasmissione sguinzagliò per tutto lo Stivale i propri talent scout alla ricerca di artisti meritevoli di un passaggio televisivo.

Così, nel locale prove della mia band dell’epoca, i Wotan, condiviso con gli Empire, si organizzarono diversi provini.

Il selezionatore si esprimeva con un forte accento partenopeo e sembrava davvero molto provato dall’ascolto forzato delle band che si alternavano nella sala, ma continuava a regalare a ciascuno consigli sull’esecuzione, sul suono e su quant’altro potesse essere utile, a suo giudizio, per una folgorante carriera musicale.

Ecco che arriva il turno di Paolo: estrae la chitarra acustica dalla custodia e inizia la magia.

Fino a quel momento, ogni provino durava in media un paio di minuti e, in alcuni casi, anche meno.

Paolo fu l’unico al quale il tizio fece finire il pezzo.

«Mi fai sentire un altro brano?», chiese il selezionatore.

«Volentieri», rispose Paolo, eseguendo un altro pezzo incredibile di fingerpicking, tapping e percussioni, il tutto con una chitarra acustica.

All’epoca avevo sentito qualcosa di Michael Hedge, ma assistere a allo spettacolo di un funambolo del calibro di Paolo Giordano, che si stava tenendo dal vivo e a pochi metri da me, mi lasciò senza fiato.

Quando anche il secondo brano terminò, il selezionatore ne chiese un terzo, poi un quarto e poi un quinto.

Infine, quando chiese a Paolo di suonare anche la chitarra elettrica, ci gustammo un brano a base di slide e Stratocaster.

Un’ora e un quarto, tanto durò l’esibizione di Paolo: due minuti degli altri musicisti contro i suoi settantacinque, davano la cifra del suo talento strabordante. 

L’esaminatore, il quale girava praticamente tutto il Centro-Sud, disse che Paolo era l’artista che lo aveva maggiormente colpito e che se fosse dipeso da lui, il passaggio televisivo sarebbe stato assicurato.

Seguii la carriera di Paolo con Michael Manring, Lucio Dalla e tanti altri.

Mi è capitato di scambiare con lui due chiacchiere in più occasioni, rimanendo sempre colpito dalla sua assoluta modestia e umanità.

Era lontano anni luce dallo stereotipo, tanto in voga in quegli anni (qualche esemplare è ancora in circolazione), del guitar hero che non dà confidenza a nessuno, fa finta di non riconoscerti o di non ricordare il tuo nome.

Quando parli con un musicista pieno di sé, lui ti parla solo di se stesso: un monologo, praticamente.

Paolo, invece, ti guardava negli occhi e ti chiedeva quali fossero i tuoi gusti musicali, con chi stessi studiando o suonando.

Ogni volta che gli ricordavo il nostro primo incontro, lui mi sorrideva.

Ciao Paolo, voglio ricordarti nella sala prove, con il tuo sorriso contagioso e la tua bellissima musica.

Paolo Giordano era lontano anni luce dallo stereotipo, tanto in voga in quegli anni (qualche esemplare è ancora in circolazione), del guitar hero che non dà confidenza a nessuno, fa finta di non riconoscerti o di non ricordare il tuo nome.

Per il quarto appuntamento con POINT OF VIEW Jazz tales abbiamo scelto (sarebbe più corretto scrivere “rubato”) questo bellissimo racconto di Angelo Cipollone dal suo profilo Facebook.
Lo abbiamo fatto perché anche noi di WOM desideriamo tributare il doveroso – e purtroppo tardivo – riconoscimento a quello straordinario musicista che è stato Paolo Giordano, scomparso prematuramente il 29 dicembre 2021 per complicazioni da Covid-19.
Ma, soprattutto, lo abbiamo fatto perché nel pensiero di Angelo Cipollone c’è quella genuinità, vale a dire quell’autenticità, che difficilmente avremmo potuto esprimere e che difficilmente ritroveremo nelle cronache ufficiali.
La grande sensibilità di Angelo Cipollone, che lo caratterizza fortemente e indissolubilmente sia come persona che come artista, gli permette di mettere a fuoco dettagli, evidenziare particolari, e restituire a chi legge il ritratto tridimensionale di un personaggio – come, in questo caso, il grande Paolo Giordano – sullo sfondo dei suoi luoghi e del suo tempo.
Peculiarità, questa, che si riscontra anche nei cinque racconti del suo libro Jazz Tales edito nel 2021 dalla Express Editrice (disponibile in formato e-book su tutti i migliori store digitali, e in formato tradizionale cartaceo su Amazon).
A chi non lo avesse già fatto, suggeriamo di acquistare una copia del libro, il cui accessibilissimo prezzo di copertina è ragguagliato al solo costo della stampa o della produzione e alle imposte, in quanto non ha scopo commerciale bensì unicamente storico e divulgativo.

Paolo Giordano

Nato a Pescara, classe 1962, Paolo Giordano è stato un chitarrista virtuoso del fingerstyle, primo in Italia a sperimentare il tapping e altre tecniche percussive sulla chitarra acustica.

Negli anni ha calcato le arene e i palcoscenici più prestigiosi accompagnando artisti come Lucio Dalla, noto nel tour Cambio del 1992, durante il quale inaugurava i concerti con i suoi brani originali, tanto che lo stesso Dalla lo definì «uno dei migliori chitarristi europei».

Ha collaborato anche con Biagio Antonacci per l’album Mucchio, e con tanti altri, partecipando a kermesse di prestigio.

Tuck&Patti e Michael Manring collaborarono nei suoi dischi Paolo Giordano e Have You Seen the Roses?

Dopo essere stato ricoverato in terapia intensiva all’ospedale di Pescara per essere risultato positivo al Covid-19, il 29 dicembre 2021 Paolo Giordano si è spento all’età di 59 anni.